lunedì 27 febbraio 2012

TEATRO A MANOVELLA in I MONOLOGHI DELLA VAGINA @ Arti Vive Habitat - Sta...

Riapre con una giornata a Ingresso gratuito la Peggy Guggenheim Collection!



Vi aspetto per scoprire insieme le rinnovate sale della Collezione Peggy Guggenheim e il nuovo Giardino delle Sculture Nasher, il 29 febbraio dalle 17 alle 20, in occasione della conclusione dei lavori di ristrutturazione di Palazzo Venier dei Leoni.

L'entrata al museo sarà gratuita a quanti vorranno venirci a trovare.



Direttore Collezione Peggy Guggenheim


Dal 29 febbraio al 6 maggio 2012:
ARTE EUROPEA 1949-1979
Marion R. Taylor: dipinti, 1966-2001


Peggy Guggenheim Collection
Dorsoduro 701, 30123 Venezia
tel. 041.2405.411

domenica 26 febbraio 2012

Laura Marinoni e Vinicio Marchioni: Intervista su "Un tram che si chiama desiderio"

Incontriamo Laura Marinoni e Vincio  Marchioni al Teatro Asioli di  Correggio. Lei è una delle più importanti attrici italiane, lui è attore fra tv (Romanzo Criminale), cinema e teatro. Portano in scena, “Un tram che si chiama desiderio”di Tennese Williams per la regia di Antonio Latella, spettacolo che ha appena debuttato a Modena (nuova produzione ERT). Tanto è l’entusiasmo e la voglia di parlarne, ma anche di sapere le reazione del pubblico ed ecco che l’intervista si trasforma in conversazione. C’è la mia emozione di avere davanti finalmente una protagonista femminile da intervistare con un ruolo estremamente impegnativo e complesso.


Parte 1: il lavoro sul personaggio e il confronto con il mito cinematografico

Marinoni“Lavorare con Antonio Latella significa ribaltare, mettersi in gioco e non avere nessun tipo di certezza rispetto al personaggio e al testo che si affronta. Però questo non significa che voglia fare delle cose strane, ma che ha uno sguardo sempre un po’ spostato rispetto alla tradizione. Questo è un testo meraviglioso il cui unico difetto è che è sicuramente un po’ datato, quindi la prima grande svolta di questa regia rispetto alle altre rappresentazioni che si sono fatte negli anni  è che non concede nulla al realismo. Affronta il testo e i personaggi in modo non convenzionale. Noi abbiamo lavorato moltissimo sulla psicologia. In una messa in scena così occorre essere molto più precisi e più forti per quanto riguarda la storia. Per un’attrice questo ruolo è uno dei sogni della vita: non è retorica in Blanche c’è tutto il ventaglio possibile delle sfumature che ha un attore o un attrice in se, non c’è un colore solo, si chiama Bianca e il bianco è l’insieme di tutti i colori. o che mi ha chiesto Antonio è stato di mettermi completamente al servizio di un flusso di ricordi, emozioni, pensieri che svelassero una donna senza protezioni.  Parlava Bianca del foglio bianco. Il grado zero del personaggio. Lei arriva così nevrotica con una storia incredibile alle spalle cerchiamo di capire chi era lei prima di tutto. Quindi il lavoro è stato di smontaggio e tirare fuori con coraggio tutto quello che dentro di noi c’è e renderlo trasparente in questa regia è tutto visto dalla sua mente che ricorda per cui gli altri personaggi sono proiezioni della sua mente per cui sono a volte esagerati e hanno dei colori che appartengono alla sua visione. Il grande lavoro qui è stato di partire da questa specie di seduta d’analisi, forse l’ultima seduta di analisi che fa il dottore, quando tutto questo è già passato è un rivivere sul filo del rasoio, il pubblico a  poco a poco entra in questo gioco ma in realtà ci sono sempre almeno due piani, il piano del dottore con Blanche che è realistico e tutto il ricordo della storia che interagisce continuamente in questo gioco. L’altro punto interessante è chi ce l’ha detto che la pazza è lei?  Nella storia loro la fanno rinchiudere perché non possono sopportare che questa sconvolga i loro equilibri e faccia venire fuori i loro disequilibri. Fra l’altro nelle sue menzogne fra uscire squarci di verità totale, di sincerità totale in realtà è proprio la menzogna come approdo come difesa per poter sopravvivere e quindi questo è estremamente bello da toccare per un attore è una grande metafora su quello che significa recitare. Recitare non significa aggiungersi ma orpelli, recitare è toglierseli. Abbiamo cercato di andare in questa direzione chiamando il pubblico come il settimo attore a partecipare di questo. Noi recitiamo e al pubblico, ad ogni persona del pubblico come se fosse un personaggio, il pubblico non assiste a qualcosa che succede da un’altra parte è come se non ci fosse più la quarta parete, quindi è chiaro che questa è una Blanche di Tennesse Williams fino al midollo ma allo stesso tempo reinventata da un’idea di regia molto forte che mi ha permesso con anche difficoltà senza appoggi e senza rete di trovare delle cose veramente intime da raccontare.

Marchioni “ I sistemi di ribaltamento in questo spettacolo sono moltissimi. Per quanto riguarda me il tipo di lavoro che abbiamo cercato di fare con Antonio, riallacciandomi a ciò che diceva Laura, chissà se è vero che quella più matta di tutti sia lei, perché lei arriva in questo appartamento e dal momento in cui arriva sconvolge come se facesse da specchio a tutti quanti. Stanley è un violento, picchia la donna incinta, ha degli istinti veramente animali, primari. Però la domanda che abbiamo cercato di farci noi è perché reagisce così? Quali sono le mancanze di quest’uomo ? la cosa principale per noi è un problema di identità. Chi è questo ? che cosa vorrebbe essere questo? Tutti quanti lo etichettano come un polacco, è uno straniero e questo discorso coinvolge tutti gli altri personaggi perché credo che l’idea che l’idea di scrittura originaria di Tennesse di inserire i personaggi in un quartiere  in cui non c’è una traccia dia americanità ma sembra che arrivino tutti quanti da dei posti, un suk quartiere di immigrati invece forse lui aspira ad essere americano, lo dice anche in una battuta “io sono nato e cresciuto nel più grande paese della terra” però tutti quanti gli continuano a dire tu sei polacco, non sei quello che credi di essere e quindi abbiamo cercato di individuare gli istinti che lo portano ad essere così violento. Non c’è nessun paragone perché c’è un misunderstanding secondo me perché la maggior parte delle persone ha come paragone il film che è un miracolo e rimarrà nella storia del cinema qualunque cosa potrà mai succedere. Noi ci siamo soffermati tantissimo sulla scrittura di tenesse Williams e sulla sua origine. Su quanto la vita privata abbia influenzato questo testo e questo nonostante il ribaltamento dei piani, l’assenza completa di realismo nella messa in scena secondo me Antonio ha fatto un grandissimo onore a questo autore”

lunedì 20 febbraio 2012

A Correggio domani un tram che si chiama desiderio

TEATRO ASIOLI  Correggio

stagione 2011/2012


martedì 21 – mercoledì 22 febbraio 2012
ore 21

Emilia Romagna Teatro Fondazione / Teatro Stabile di Catania
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
di TENNESSEE WILLIAMS
traduzione Masolino D’Amico
regia ANTONIO LATELLA
 
con Laura Marinoni, Vinicio Marchioni
Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone, Rosario Tedesco

scene Annelisa Zaccheria
costumi Fabio Sonnino
luci Robert John Resteghini
suono Franco Visioli
Al Teatro Asioli di Correggio prosegue martedì 21 e mercoledì 22 febbraio (ore 21) la stagione di prosa con Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams (nella traduzione di Masolino D’Amico), uno spettacolo prodotto da Ert e Stabile di Catania con la regia di Antonio Latella; interpreti principali sono Laura Marinoni (Blanche) e Vinicio Marchioni (Stanley).
Il testo, scritto nel 1947, racconta la via crucis di una donna profondamente segnata da un trauma che l’ha fatta scivolare nel baratro dell’alcolismo e della ninfomania. Ultima erede di una famiglia caduta in rovina, Blanche è costretta ad abbandonare la città in cui è cresciuta nella ricchezza e negli agi per sfuggire alla vergogna e ai debiti. È così che arriva a New Orleans, dove la sorella Stella vive con il marito Stanley, un giovane immigrato polacco dai modi burberi e violenti. Nella casa fatiscente di via dei Campi Elisi la coppia conduce un’esistenza felice anche se estremamente povera, molto lontana dalle sofisticatezze snob e aristocratiche di Blanche. La sua presenza infatti scatena fin da subito tensioni e conflitti che spezzano il suo già fragile equilibrio. Naufragata la speranza di sposare Mitch, un amico di Stanley, subisce la violenza del cognato e ripiega nella pazzia come atto estremo di salvezza.
Un tram che si chiama desiderio non è soltanto un viaggio introspettivo nella mente di una donna ferita ma anche la fotografia di un conflitto tra due mondi inconciliabili: l’uno, aristocratico e decadente
che si ostina a vivere nell’illusione di un passato glorioso (Blanche); l’altro, proletario e rampante che cavalca con fierezza il sogno americano (Stanley). Williams ambienta questo scontro all’interno di una società in pieno mutamento all’indomani della seconda guerra mondiale, descrivendone vizi e illusioni in graduale disfacimento. Ma soprattutto racconta l’America puritana, il Sud integralista in cui è cresciuto e che è stato teatro di uno degli eventi più tristi della sua vita: la tragica vicenda di Rose, sorella a cui era molto legato, che la madre, una fervente puritana, sottopose ad un intervento di lobotomia.
Laura Marinoni, qui impegnata in una performance indimenticabile, è una fra le più importanti attrici italiane. Vinicio Marchioni, dopo il successo della serie Romanzo Criminale e dei suoi ruoli cinematografici (20 sigarette, Sulla strada di casa, Scialla!...), torna al teatro dove aveva già lavorato con Ronconi, Latini e altri.
La potente messinscena di Antonio Latella (regista ormai tra i più apprezzati in Europa), tra mobili scheletrici, luci forti e ombre profonde, musiche dolci e rock selvaggio, traduce in immagini fortemente emotive i contrasti che, tra i personaggi e nella mente della protagonista, porteranno Blanche alla pazzia: animalità e cultura, amore e morte, desiderio e coscienza, libertà e perbenismo.

giovedì 16 febbraio 2012

Terra Promessa - Marco Baliani

Parma - Marco Baliani

17 Febbraio - 21:00 h.
TEATRO AL PARCO
HO CAVALCATO IN GROPPA AD UNA SEDIA
Vent`anni di spettacoli, di esperienze, di emozioni raccontati in uno spettacolo nato da un libro
17 febbraio ore 21
CASA DEGLI ALFIERI
Ho cavalcato in groppa ad una sedia
Spettacolo su vent’anni di nomadismo narrativo
di e con Marco Baliani

Marco Baliani ha raccolto le esperienze e le riflessioni accumulate in vent’anni di narrazioni in un libro intitolato Ho cavalcato in groppa ad una sedia, che ora a sua volta torna ad essere materia viva di un nuovo spettacolo. Baliani racconta e legge di fiabe, miti, pitture, sculture, altri artisti o persone incontrate nel cammino, luoghi che lo hanno toccato, visioni che lo hanno emozionato. E’ un personale viaggio, durato vent’anni, dentro l’oralità e il racconto

mercoledì 15 febbraio 2012

Intervista a Elio Germano e Theo Teardo

Domenica 5 Febbraio ho incontrato  Elio Germano e Teho Teardo al Teatro Asioli di Correggio dove hanno presentato  Viaggio al termine della notte, concerto-spettacolo ispirato al romanzo di Louis-Ferdinand Céline. Theo Teardo è musicista, compositore, autore delle colonne sonore per il nuovo cinema d’autore ed il teatro. Ha scritto le musiche per Sorrentino, Vicari,  … Elio Germano è attore cinematografico di grande successo ( basti ricordare il premio a Cannes nel 2010 come miglior attore per “La nostra vita” di Daniele Lucchetti). Con loro sul palco la violoncellista Martina Bertoni. 

 
Come nasce  questo progetto?
Germano “Questo progetto nasce da un percorso. Ci siamo incontrati sul set del film di Daniele Vicari, “Il passato è una terra straniera”. Abbiamo lavorato ad una canzone che  è uscita da poco che si chiama “Stanotte cosa succederà”. Io faccio parte del gruppo rap “Bestierare” col quale suono e  scrivo le cose che canto.  Ci è stato proposto di fare una qualcosa insieme: un testo di letteratura da musicare. Il testo che spontaneamente piaceva a tutti e due è appunto “Viaggio al termine della notte” di Céline Di base c’è il trovarsi artisticamente e umanamente come persone simili. Abbiamo dei gusti in comune, ma  prima ancora un modo di lavorare simile che ci ha subito legato.”

 
Come mai questo testo?
Germano:“E’ un’opera molto profonda, molto densa, in cui c’è un percorso infinito con il lettore che non si stanca mai di affrontare questo testo: non è una storia, è un milione di punti di vista sull’essere umano, sulla vita e sulla morte .”

Qual è la particolarità di questo lavoro?
Germano: “E’ uno spettacolo più musicale che testuale. Anche le parole e la voce sono usate come suono:  parlo sopra alla mia voce registrata,  lavoro con due diversi microfoni. Le parti narrative sono poche. Le parole devono aprire un immaginario, un grande spazio di interpretazione per il pubblico; uno spettacolo più emotivo, evocativo che non narrativo. E’ proprio la musica a portare in una dimensione molto più forte di quella delle parole.”
 
La Sua musica attraversa mondi diversi:  cinema, teatro, arte: cosa resta uguale e cosa cambia?
Teardo: “La musica ha la possibilità di attraversare ambiti diversi. Uno degli aspetti della contemporaneità che mi intriga molto è questa possibilità di spostarsi in un altro ambito, in un’altra disciplina. Mi interessa la transdisciplinarietà. Il mio è un attraversamento sonoro, al cinema o a teatro è simile. Non è un percorso di commento o da accompagnamento, ma si tratta di stabilire un rapporto, un dialogo e questo contatto è un qualcosa che lega, è un parlarsi  è un modo per comunicare. Nella musica c’è proprio geneticamente una predisposizione particolare a questo. E’ uno scambio che porta dei cambiamenti. Cinema, teatro, musica  possono contagiarsi, e questo obbliga a riconsiderare mille altre varianti. Si rimette tutto in discussione e si ricomincia. E’ quello che mi intriga di più della musica

martedì 14 febbraio 2012

Pina 3D - trailer italiano

Dario Fo - Rosa Fresca Aulentissima

Intervista Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio - parte 3

Parte 3 dell'intervista: ovvero dell'amicizia e del teatro






Siete molto affiatati. Come vi siete conosciuti?

Qui rispondono insieme, gli sguardi complici si sorridono. “ Se tu ci avessi conosciuto quando ci siamo conosciuti noi, saresti venuta a trovarci nel sottofondo del teatro, nei camerini più sperduti. Avevamo il camerino insieme quando abbiamo cominciato: avevamo appena finito la scuola ed eravamo entrati in compagnia nello Stabile di Palermo. Tournèe lunghe: erano ancora gli anni in cui si girava tanto ed eravamo proprio compagni di scena. C’era un gioco che facevamo in camerino mentre aspettavamo di entrare in scena e a volte a volte il tempo di attesa era parecchio. Io lo considero una grande palestra ma anche un grande gioco d’amicizia: ogni sera uno dei due arrivava con l’incipit di qualche pagina, di qualche capitolo o frasi e la recitava e l’altro doveva scoprire l’opera o l’autore e, con le poesie magari un po’ più famose, uno diceva i primi versi e l’altro poi continuava. E’ un ricordo, si riallaccia alla grande tradizione delle tenzoni e dei contasti non solo della scuola siciliana e di Cielo d’Alcamo, ma anche di una lunga serie di poeti popolari che portarono avanti la tradizione fino ai tempi moderni.
Ad esermpio  durante la Seconda guerra mondiale a Palermo c’era un poeta del popolo che andava nel periodo del ventennio fascista faceva delle poesie contro il duce, Giuseppe Schiera, quando arrivava il duce o qualche gerarca importante a palermo lo mettevano in galera per 4/5 giorni e poi lo ri-liberavano"
Parte il gioco antico e cominciano a raccontare in dialetto palermitano ridendo le farsi di Schiera: 
« Arriva 'U Duci nni cunnuci / contru u palu ra luci»
« Na corazzata / ra nostra armata / scuntrò cu na pignata /E ristò tutta annaccata/ Cu?/A corazzata! »
Uno spettacolo nello spettacolo. 

Una "valentina" indiana

domenica 12 febbraio 2012

Intervista Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio - parte 2

Prarte due dell'intervista : ovvero della lingua e della Sicilianità
 DICERIA DELL'UNTORE
Emerge una sicilianità forte : voi come vi ci rapportate?

Lo Cascio“In maniera molto semplice: sono cose che io considero già esistenti implicitamente in me. Io riconosco di sentirmi abbastanza a casa quando si sviluppano i ragionamenti così barocchi, c’è qualcosa che riconosco. E’ il piacere della lingua. Il piacere di sentire uscire queste parole, di sentirle risuonare mi dà il senso di una vicinanza e di una familiarità”

Pirrotta “Arrivare alla seduzione è una grande forza. In questo spettacolo ho la fortuna di poter essere molto spettatore.  Non sto quasi mai in camerino mi piace stare in quinta e ascoltare Luigi che dice, un piacere dire, ma anche  ascoltare è un grande privilegio.
C’è una contrapposizione degli opposti molto forte nello spettacolo che poggia  su una filosofia della vita siciliana, che attinge alla tragedia, a certe intuizioni di Pirandello. I personaggi non possono che parlare in questa maniera così vistosa quasi sfiorando l‘enfasi proprio perché sono vicinissimi alla morte ed è proprio la vicinanza del graffio della morte che determina la perfezione della ricerca delle parole. In particolari circostanze se non si tace è bene dire le cose in una maniera che è  vicina al canto piuttosto che alla lingua della comunicazione." 
"Il romanzo si svolge nel palermitano, una terra carica di evocazioni, e ci sono delle cose che io ho  riscritto perché nel romanzo non compaiono: nel percorso che il protagonista fa insieme a Marta dalla città verso la campagna e poi verso il mare incontra una Sicilia piena di terra,  che continuamente, quasi come un sortilegio, porta verso un mondo metafisico. Bufalino ha evocato degli incontri, io li ho messi nella scena, con una lingua che non si distaccasse dalla sua, ma che avesse dentro questo colore della terra, della carne, del sangue, della rabbia che nel popolo palermitano c’è sempre."

venerdì 10 febbraio 2012

Intervista Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio - parte 1

Prima parte ovvero di Gesualdo Bufalino


Portare sul palco “Diceria dell’untore”  è una grossa sfida : come nasce questo progetto?

Perrotta: “Mi piace la parola sfida, anche se uno non parte mai dicendo che è una sfida, piuttosto una provocazione. E’ una provocazione al contrario perché si tende oggi a considerare il testo un pretesto, invece la mia provocazione è nella scelta di mettere al centro il testo, la drammaturgia. Tra l’altro è l’adattamento di un romanzo che anche quando uscì fu considerato una grande sorpresa anche per il tipo di lingua che utilizzava. E’ uno spettacolo fiume in cui c’è veramente un fiume splendido di parole, però è una lingua che non si parla più, una lingua barocca e mi piace pensare che soprattutto i ragazzi, le nuove generazioni che vengono a vedere il nostro spettacolo scoprano,  quasi in un percorso archeologico, delle parole nuove e si innamorino della lingua italiana che ha questi gioielli che sono appunto le parole. E’ stata in prima analisi la scelta primaria. Accanto alla mia passione per Bufalino è antica ma in un momento della mia vita avevo l’esigenza di indagare il rapporto con la morte, del rapporto della morte dentro la vita ed era un momento in cui io mi chiedevo del dopo e anche una certa paura dell’eternità in qualche modo.
Ultima cosa  ho ritenuto opportuno che questo testo di Bufalino è legatissimo con il teatro, quasi in ogni scena c’è un riferimento al teatro e quindi l’idea è scattata subito. Ho subito parlato con Luigi , un’artista che può avere un confronto con un testo così difficile e bellissimo e allo stesso tempo”

Lo Cascio “ La cosa bella di questa provocazione in fondo è la ripresa di un gesto che già fa Bufalino scrivendo un romanzo come questo.  Già Bufalino sapeva  che si stava confrontando con un problema, che poi quello della lingua italiana e della lingua letteraria, per cui  il suo testo sarà sempre un oltre che scavalca la lingua d’uso del quotidiano e anche la lingua della letteratura. In fondo lui sapeva che si stava confrontando – per questo ci sono infinite stesure – lui che non pensava alla pubblicazione, ma confrontandolo ogni volta con lo stato delle cose della letteratura del periodo era sempre qualche cosa che era anacronistico,  più che altro inattuale,  proprio perché sempre attuale proprio perché sempre passibile di una possibilità di rapimento che è anche un po’ il teatro di Vicenzo è un teatro della seduzione, di rapimento dello spettatore. Molto congeniale al teatro di Vincenzo nonostante la lingua sia una lingua alta che tende al sublime però ha delle componenti dentro  forti rispetto alla letterarietà , alla teatralità e al rapporto anche col mito. Elementi su cui Vincenzo si è molto dedicato. Dentro ci si richiama a qualcosa di misterioso che  ha a che fare col mito di Orfeo e Euridice, Alcesti . Quindi è molto siciliano il testo, perché è molto arabo , molto greco che sta attento al rapporto con la lingua italiana anche come lingua straniera, una lingua che va considerata come qualcosa che arriva da qualche posto e non è solo qualcosa che possediamo e utilizziamo a fini comunicativi”

giovedì 9 febbraio 2012

Lo Cascio - Pirotta : la Sicilia in un camerino

Due siciliani di fronte a me: Luigi Lo Cascio, uno dei più apprezzati attori di cinema e teatro in Italia , magro, occhi neri che brillano  di passione ogni volta che si parla di teatro, di lingua, della sua terra, la Sicilia. Acconto Vicenzo Perrotta, attore e regista teatrale, rubicondo, lo stesso sguardo luminoso. Li intervisto nei camerini del Teatro Asioli, prima dello spettacolo "Diceria dell'untore" dal romanzo omonimo di Gesualdo Bufalino. Sul palco i musicisti provano:  la musica ci accompagna per tutta la conversazione e sembra di essere sospesi nello spazio e nel tempo.
Fuori nevica ma si è come trasportati nel racconto di una Sicilia mitica, solare e decisamente letteraria.

  
17 febbraio ore 21
CASA DEGLI ALFIERI
Ho cavalcato in groppa ad una sedia
Spettacolo su vent’anni di nomadismo narrativo
di e con Marco Baliani


arco Baliani ha raccolto le esperienze e le riflessioni accumulate in vent’anni di narrazioni in un libro intitolato Ho cavalcato in groppa ad una sedia, che ora a sua volta torna ad essere materia viva di un nuovo spettacolo. Baliani racconta e legge di fiabe, miti, pitture, sculture, altri artisti o persone incontrate nel cammino, luoghi che lo hanno toccato, visioni che lo hanno emozionato. E’ un personale viaggio, durato vent’anni, dentro l’oralità e il racconto.

Marco Baliani ha raccolto le esperienze e le riflessioni accumulate in vent’anni di narrazioni in un libro intitolato Ho cavalcato in groppa ad una sedia, che ora a sua volta torna ad essere materia viva di un nuovo spettacolo. Baliani racconta e legge di fiabe, miti, pitture, sculture, altri artisti o persone incontrate nel cammino, luoghi che lo hanno toccato, visioni che lo hanno emozionato. E’ un personale viaggio, durato vent’anni, dentro l’oralità e il racconto.

A Novellara le lingue uniscono

Tante lingue. Una sola favola.

Tante lingue. Una sola favola.

In occasione della Giornata della Lingua Madre, proclamata dalla Conferenza Generale dell’Unesco nel 1996, il Comune di Novellara organizza sabato 21 febbraio alle ore 17.00 presso la Sala del Fico una lettura animata e multilingue della favola “Pierino e il lupo” del compositore russo Sergei Prokofiev.

lezioni di cinema a Correggio

Aldiqua-Aldilà: come il cinema ha rappresentato la vita e immaginato l’oltrevita”
 
“Aldiqua-Aldilà: come il cinema ha rappresentato la vita e immaginato l’oltrevita”
Si intitola “Aldiqua – Aldilà. Come il cinema ha rappresentato la vita e immaginato l’oltrevita” il corso di cinema promosso a Correggio dall’associazione “Cinecomio”, patrocinato dal Comune di Correggio, e tenuto dal prof. Bruno Fornara, critico cinematografico di “Cineforum” e docente di cinema alla “Scuola Holden” di Torino.
Le lezioni si svolgono venerdì 17 febbraio, ore 20,30, sabato 18, ore 15,30, e domenica 19, ore 9,30, alla sala Cine+ di Correggio.
“Che ci sia o che non ci sia un qualche aldilà è questione ininfluente al cinema”, spiegano gli organizzatori. “Il fatto è che moltissimi racconti e film introducono questi argomenti nei loro percorsi: e quindi i film li mettono anche in immagini. Ugualmente difficile e problematico è, al cinema come anche in letteratura, in musica, nelle arti visive, pensare e rappresentare il momento del passaggio. André Bazin, il più grande critico e teorico del cinema, diceva che due cose sono irrappresentabili al cinema: il godimento sessuale e la fine, la morte. Aldilà e fine sembrano al di fuori della nostra portata visiva e mentale. Eppure molti registi hanno voluto provarci: pensiamo a Frank Capra, Michael Powell e Emeric Pressburger, Mizoguchi, Dreyer, Ophuls, John Ford, Lubitsch, Kubrick, fino a Manoel de Oliveira”.
L’iscrizione alle tre lezioni di Fornara costa 23 euro (18 euro per i soci di “Cinecomio”). La singola lezione 9 euro (7 euro per i soci).
Per info e iscrizioni: cinecomio.blogspot.com

lunedì 6 febbraio 2012

Diceria dell'untore a Correggio


Al Teatro Asioli va in scena “Diceria dell’untore”; è una sfida portare sul palco il testo di Gesualdo Bufalino  dalla  lingua barocca e a tratti arcaica, intriso di ricerca e dubbi metafisici. Si entra in sala a scena aperta, in una sorta di girone dantesco, un po’ relitto di teatro greco: è il sanatorio, i malati un po’ folli, un po’ morti viventi, ripetono le stesse mosse, lente e uguali, persone come spettri.
Il protagonista è un giovane reduce della guerra e malato di tbc. Arriva alla Rocca, un sanatorio vicino a Palermo, è un secondo apprendistato di morte. Qui entra nelle simpatie del primario, il “Gran Magro”, ambiguo, cinico ed alcolista. Fra le conoscenze di malati senza speranze, nasce  l’amore per Marta, una ballerina,  bella, molto malata ex amante di un tedesco: è un amore senza futuro. L’io narrante è un bravissimo Luigi Lo Cascio, che sostiene lo spettacolo, infaticabile e toccante, in una sorta di dialogo continuo con la morte. Abile e a suo agio con il linguaggio complesso di Bufalino. Fra tutti lui solo guarisce, quasi con un senso di colpa, come una diserzione dal “noviziato della morte”, un tradimento involontario che richiede la testimonianza della “diceria”.
Al destino di morte a cui pian piano abitua la vita del sanatorio, fa da contrasto la vita del mondo fuori dalla Rocca: un contrasto che pervade tutto lo spettacolo. Qui il regista Vincenzo Pirrotta attinge dal dna siciliano: danze, canti, tarantelle, il circense con trampoliere e mangiafuoco, i musici, i pupi, ma anche gli umili, le scene popolari, le donne di vita.
Dentro la Rocca c’è  un mondo disperato,  ciascuno si aggrappa a credenze che rivelano tutta la loro fragilità al confronto con il destino di morte che attende: il ricorso alla medicina, alla fede, la fuga nel passato si rivelano ugualmente illusori. Non salva nemmeno l’amore: il protagonista guarisce  ma solo per portare la memoria dei morti.
La pena di vivere, il gioco filosofico di pensieri a chi non è rimasto molto altro da fare viene però alleggerito dalle splendide canzoni , dal circense, dalle musiche dal vivo,  epifanie e apparizioni di una  Sicilia mistica, a tratti arcaica  ma vitale e magica  sembra l’unica cosa a poter contrastare il senso di morte che aleggia, sfuggito e cercato, odiato e corteggiato. All’uscita dello spettacolo resta una poesia impalpabile.
Bella la scelta della musica e della canzone dal vivo, quasi apparizioni.
Una nota emiliana: il testo è in parte autobiografico: dopo esser sfuggito ai tedeschi e aver riparato in Emilia, nel 1944 Bufalino si ammala di tisi e viene ricoverato nel sanatorio di Scandiano, il cui primario Biancheri, raffinato umanista, nello scantinato dell’ospedale custodisce una vera e propria biblioteca. Durante la primavera del 1946 Bufalino ottiene il trasferimento in un sanatorio della Conca d’Oro, a Palermo. Vi rimarrà fino all’anno seguente e in quei mesi vive le esperienze e le emozioni che si ritroveranno nel romanzo.