venerdì 10 febbraio 2012

Intervista Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio - parte 1

Prima parte ovvero di Gesualdo Bufalino


Portare sul palco “Diceria dell’untore”  è una grossa sfida : come nasce questo progetto?

Perrotta: “Mi piace la parola sfida, anche se uno non parte mai dicendo che è una sfida, piuttosto una provocazione. E’ una provocazione al contrario perché si tende oggi a considerare il testo un pretesto, invece la mia provocazione è nella scelta di mettere al centro il testo, la drammaturgia. Tra l’altro è l’adattamento di un romanzo che anche quando uscì fu considerato una grande sorpresa anche per il tipo di lingua che utilizzava. E’ uno spettacolo fiume in cui c’è veramente un fiume splendido di parole, però è una lingua che non si parla più, una lingua barocca e mi piace pensare che soprattutto i ragazzi, le nuove generazioni che vengono a vedere il nostro spettacolo scoprano,  quasi in un percorso archeologico, delle parole nuove e si innamorino della lingua italiana che ha questi gioielli che sono appunto le parole. E’ stata in prima analisi la scelta primaria. Accanto alla mia passione per Bufalino è antica ma in un momento della mia vita avevo l’esigenza di indagare il rapporto con la morte, del rapporto della morte dentro la vita ed era un momento in cui io mi chiedevo del dopo e anche una certa paura dell’eternità in qualche modo.
Ultima cosa  ho ritenuto opportuno che questo testo di Bufalino è legatissimo con il teatro, quasi in ogni scena c’è un riferimento al teatro e quindi l’idea è scattata subito. Ho subito parlato con Luigi , un’artista che può avere un confronto con un testo così difficile e bellissimo e allo stesso tempo”

Lo Cascio “ La cosa bella di questa provocazione in fondo è la ripresa di un gesto che già fa Bufalino scrivendo un romanzo come questo.  Già Bufalino sapeva  che si stava confrontando con un problema, che poi quello della lingua italiana e della lingua letteraria, per cui  il suo testo sarà sempre un oltre che scavalca la lingua d’uso del quotidiano e anche la lingua della letteratura. In fondo lui sapeva che si stava confrontando – per questo ci sono infinite stesure – lui che non pensava alla pubblicazione, ma confrontandolo ogni volta con lo stato delle cose della letteratura del periodo era sempre qualche cosa che era anacronistico,  più che altro inattuale,  proprio perché sempre attuale proprio perché sempre passibile di una possibilità di rapimento che è anche un po’ il teatro di Vicenzo è un teatro della seduzione, di rapimento dello spettatore. Molto congeniale al teatro di Vincenzo nonostante la lingua sia una lingua alta che tende al sublime però ha delle componenti dentro  forti rispetto alla letterarietà , alla teatralità e al rapporto anche col mito. Elementi su cui Vincenzo si è molto dedicato. Dentro ci si richiama a qualcosa di misterioso che  ha a che fare col mito di Orfeo e Euridice, Alcesti . Quindi è molto siciliano il testo, perché è molto arabo , molto greco che sta attento al rapporto con la lingua italiana anche come lingua straniera, una lingua che va considerata come qualcosa che arriva da qualche posto e non è solo qualcosa che possediamo e utilizziamo a fini comunicativi”

Nessun commento:

Posta un commento