domenica 26 febbraio 2012

Laura Marinoni e Vinicio Marchioni: Intervista su "Un tram che si chiama desiderio"

Incontriamo Laura Marinoni e Vincio  Marchioni al Teatro Asioli di  Correggio. Lei è una delle più importanti attrici italiane, lui è attore fra tv (Romanzo Criminale), cinema e teatro. Portano in scena, “Un tram che si chiama desiderio”di Tennese Williams per la regia di Antonio Latella, spettacolo che ha appena debuttato a Modena (nuova produzione ERT). Tanto è l’entusiasmo e la voglia di parlarne, ma anche di sapere le reazione del pubblico ed ecco che l’intervista si trasforma in conversazione. C’è la mia emozione di avere davanti finalmente una protagonista femminile da intervistare con un ruolo estremamente impegnativo e complesso.


Parte 1: il lavoro sul personaggio e il confronto con il mito cinematografico

Marinoni“Lavorare con Antonio Latella significa ribaltare, mettersi in gioco e non avere nessun tipo di certezza rispetto al personaggio e al testo che si affronta. Però questo non significa che voglia fare delle cose strane, ma che ha uno sguardo sempre un po’ spostato rispetto alla tradizione. Questo è un testo meraviglioso il cui unico difetto è che è sicuramente un po’ datato, quindi la prima grande svolta di questa regia rispetto alle altre rappresentazioni che si sono fatte negli anni  è che non concede nulla al realismo. Affronta il testo e i personaggi in modo non convenzionale. Noi abbiamo lavorato moltissimo sulla psicologia. In una messa in scena così occorre essere molto più precisi e più forti per quanto riguarda la storia. Per un’attrice questo ruolo è uno dei sogni della vita: non è retorica in Blanche c’è tutto il ventaglio possibile delle sfumature che ha un attore o un attrice in se, non c’è un colore solo, si chiama Bianca e il bianco è l’insieme di tutti i colori. o che mi ha chiesto Antonio è stato di mettermi completamente al servizio di un flusso di ricordi, emozioni, pensieri che svelassero una donna senza protezioni.  Parlava Bianca del foglio bianco. Il grado zero del personaggio. Lei arriva così nevrotica con una storia incredibile alle spalle cerchiamo di capire chi era lei prima di tutto. Quindi il lavoro è stato di smontaggio e tirare fuori con coraggio tutto quello che dentro di noi c’è e renderlo trasparente in questa regia è tutto visto dalla sua mente che ricorda per cui gli altri personaggi sono proiezioni della sua mente per cui sono a volte esagerati e hanno dei colori che appartengono alla sua visione. Il grande lavoro qui è stato di partire da questa specie di seduta d’analisi, forse l’ultima seduta di analisi che fa il dottore, quando tutto questo è già passato è un rivivere sul filo del rasoio, il pubblico a  poco a poco entra in questo gioco ma in realtà ci sono sempre almeno due piani, il piano del dottore con Blanche che è realistico e tutto il ricordo della storia che interagisce continuamente in questo gioco. L’altro punto interessante è chi ce l’ha detto che la pazza è lei?  Nella storia loro la fanno rinchiudere perché non possono sopportare che questa sconvolga i loro equilibri e faccia venire fuori i loro disequilibri. Fra l’altro nelle sue menzogne fra uscire squarci di verità totale, di sincerità totale in realtà è proprio la menzogna come approdo come difesa per poter sopravvivere e quindi questo è estremamente bello da toccare per un attore è una grande metafora su quello che significa recitare. Recitare non significa aggiungersi ma orpelli, recitare è toglierseli. Abbiamo cercato di andare in questa direzione chiamando il pubblico come il settimo attore a partecipare di questo. Noi recitiamo e al pubblico, ad ogni persona del pubblico come se fosse un personaggio, il pubblico non assiste a qualcosa che succede da un’altra parte è come se non ci fosse più la quarta parete, quindi è chiaro che questa è una Blanche di Tennesse Williams fino al midollo ma allo stesso tempo reinventata da un’idea di regia molto forte che mi ha permesso con anche difficoltà senza appoggi e senza rete di trovare delle cose veramente intime da raccontare.

Marchioni “ I sistemi di ribaltamento in questo spettacolo sono moltissimi. Per quanto riguarda me il tipo di lavoro che abbiamo cercato di fare con Antonio, riallacciandomi a ciò che diceva Laura, chissà se è vero che quella più matta di tutti sia lei, perché lei arriva in questo appartamento e dal momento in cui arriva sconvolge come se facesse da specchio a tutti quanti. Stanley è un violento, picchia la donna incinta, ha degli istinti veramente animali, primari. Però la domanda che abbiamo cercato di farci noi è perché reagisce così? Quali sono le mancanze di quest’uomo ? la cosa principale per noi è un problema di identità. Chi è questo ? che cosa vorrebbe essere questo? Tutti quanti lo etichettano come un polacco, è uno straniero e questo discorso coinvolge tutti gli altri personaggi perché credo che l’idea che l’idea di scrittura originaria di Tennesse di inserire i personaggi in un quartiere  in cui non c’è una traccia dia americanità ma sembra che arrivino tutti quanti da dei posti, un suk quartiere di immigrati invece forse lui aspira ad essere americano, lo dice anche in una battuta “io sono nato e cresciuto nel più grande paese della terra” però tutti quanti gli continuano a dire tu sei polacco, non sei quello che credi di essere e quindi abbiamo cercato di individuare gli istinti che lo portano ad essere così violento. Non c’è nessun paragone perché c’è un misunderstanding secondo me perché la maggior parte delle persone ha come paragone il film che è un miracolo e rimarrà nella storia del cinema qualunque cosa potrà mai succedere. Noi ci siamo soffermati tantissimo sulla scrittura di tenesse Williams e sulla sua origine. Su quanto la vita privata abbia influenzato questo testo e questo nonostante il ribaltamento dei piani, l’assenza completa di realismo nella messa in scena secondo me Antonio ha fatto un grandissimo onore a questo autore”

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