venerdì 16 dicembre 2011

Intervista con Silvio Oralndo - 2 parte

Lei è un attore molto caratterizzato e richiesto: cinema, teatro, registi del cinema italiano d’autore diversi fra loro (Moretti, Mazzacurati,..), contemporaneità e tradizione: come ci riesce?

“Non sono un attore particolarmente versatile. Non sono un attore di tipo virtuosistico a cui piace mostrare un'altra faccia. Sono comunque sempre io e parto sempre da me per i miei ruoli, tenendo sempre presente la storia che sto raccontando ed il personaggio che devo fare. Mi annoio molto facilmente di quello che sto facendo per cui tendo a cambiare spesso. Oggi nella pigrizia totale che c’è,  sembra più facile essere identificati con un ruolo, ma questa è una trappola in cui un attore non deve cadere se diventa prevedibile diventa noioso”
 
Le sue  radici?

“Le radici sono si parla di una cosa che non si vede mai. Credo che le radici non si debbano vedere, servono ad innervare l’azione, quello che sei. Sono lì e devono dare vita ma non le devi troppo mostrare. Anche quella è una grande trappola; per quanto mi riguarda le mie radici sono a Napoli città piena di segni precisi anche troppi, molto riconoscibili e molto amati, tanti grandi attori. Quella è un’altra scorciatoia che può essere fatale, ti metti lì e sei uno dei tanti”
 
Cosa pensa delle difficoltà del teatro in questo momento?

“Spesso quando si parla di teatro si parla solo di soldi, dei tagli. Quando si parla di quello tutti siamo d’accordo nella difesa di quel poco che ci dà da vivere . Spesso nasconde un malessere profondo che c’è in me e nei miei colleghi. Il modo di produrre il teatro in Italia protezionista ha fatto diventare il teatro una specie di club nel quale c’è una minoranza che lo sceglie e la maggioranza neppure si avvicina, non è neanche incuriosita.   il teatro deve riassumere la sua funzione civile e storica che si metta al centro del dibattito civile e culturale non può rinchiudersi dentro un ghetto per quanto interessante o colto. Quando si recita bisogna pensare agli spettatori che stanno in sala ma anche agli spettatori che stanno pagando una parte di biglietto a quelli che stanno in sala e stanno pagando anche a me: ma loro lo sanno? Attraverso un meccanismo di protezione, la differenza fra uno spettacolo di grande pregio, riuscito e uno spettacolo e uno spettacolo che è un flop è troppo poco. Spettacoli brutti e belli fanno la stessa vita: vanno negli stessi teatri, avranno davanti più o meno le stesso persone. Non siamo riusciti a creare uno spettatore consapevole di quello che va a vedere ed è la peggiore delle condanne per un attore. Un attore deve essere sicuro che chi lo sta vedendo lo scelto in qualche modo e sa cosa andrà a fare e cosa avrà davanti per poi poterlo sorprendere.
Le colonne portanti di uno stato civile sono due: la ridistribuzione del reddito e la ridistribuzione della cultura. La ridistribuzione del reddito perché è bruttissimo essere molto ricchi in una società dove ci sono tanti poveri però e questo ci riguarda da vicino è anche orrendo essere molto colti in una società di ignoranti quindi chi è molto colto non deve usare questo come forma di potere o di distacco ma sentirsi in obbligo di ridistribuire.”


Che cos’è per lei il teatro?

“Ho fatto questo spettacolo autoproducendolo, ho fatto la regia e l’adattamento senza tante mediazioni e senza delegare tanto, più si delega più perdi qualcosa di te e allora mi sono autoprodotto  è una forma di “Hobby” necessario ritengo che col teatro non si debba guadagnare tanto, ma il giusto o anche niente, si deve avere un’ottica mercantile in altri settori ma nel teatro no. Bisogna farlo perché c’è un’esigenza forte, non per abitudine.”

  

Nessun commento:

Posta un commento