giovedì 28 aprile 2011

La città ha fondamenta sopra un misfatto: recensione

La Medea raccontata da Giuliana Musso, liberata dall’invenzione di Aristofane,  è  una tragedia ancora più disperata, se possibile, in cui la violenza di leggi dettate dalla volontà di dominio e dell’uso della forza riescono a vincere sull’idea di bene comune. Medea è fiera, sapiente, curatrice, legata alla vita, indipendente, che chiede il perché di ciò che non capisce, una donna modernissima che vive a pieno e che si scontra con la mentalità per lei nuova del dominio e del potere ad ogni costo. La lettura scenica proposta al Teatro Herberia a Rubiera emoziona e coinvolge, con il ritmo serrato dei dialoghi, sottolineato dalle percussioni e dai canti ancestrali di Hugo Samek. Un racconto corale, come nel testo “Medea. Voci” di Christa Wolf a cui si ispira il lavoro, che vede sul palco insieme a Giuliana Musso anche Nicoletta Oscuro, Massimo Somaglino, Riccardo Maranzana, tutti già convincenti nell’intrecciarsi dei ruoli. Sono voci che raccontano la realtà da punti di vista e sfaccettature diverse. La Musso spiega che il lavoro è nato dalla ricerca sulle origini della distruttività umana, ed è una sorta di ritorno alle origini: la nascita della distruttività è legata al brusco passaggio dalle comunità matriarcali - legate al bene comune, al sentimento, alla protezione, alla cura della vita - al dominio dei padri, imposto con la forza, la violenza e la sopraffazione, e dal conseguente allontanamento del femminile dai ruoli guida. Medea è da un lato la vittima del cambiamento, dall’altro è però l’emblema che un altro mondo è possibile, uno stimolo a ripensare non solo il ruolo, ma i modi del femminile nelle società di oggi, alla ricerca di una nuova opzione verso la vita. Il Teatro Herberia di Rubiera chiude la stagione con un work in progess ricco di stimoli che già crea attesa per la programmazione estiva della Corte Ospitale.

sabato 23 aprile 2011

Giuliana Musso : intervista parte 2

Il seguito dell'intervista con Giuliana Musso a Rubiera.

Il dibattito sul  ruolo femminile nella società è molto attuale in questa momento: quanto c’è di casuale?
“E’ casuale, parlo di donne e di potere ma tutto è partito dall’analisi della distruttività, da qui  poi sono arrivata alla questione del genere. Oggi il tema è alla ribalta, ma credo che la popolarità passerà molto in fretta ed è bene impegnarsi e  contribuire a mantenere viva  questa riflessione”

Com’è nata la collaborazione con Corte Ospitale che ha prodotto i suoi tre spettacoli della trilogia della vita?
“E’ nata come nasce un’amicizia disinteressata, dal riconoscimento reciproco di simpatia e onestà intellettuale. Per me è stata una grande fortuna, faccio un lavoro di nicchia, autoriale, che vive di repliche e occorre portarlo avanti dando sostegno con delicatezza e trasparenza. Siamo come artigiani e Corte Ospitale ha questa sensibilità. Il mio cruccio è non vivere qui: ho molte amicizie, fra Reggio, Modena, Bologna. E’ un territorio che ospita e ha saputo nutrire artisti di stampo artigianale che stimo. Qui ci sono artisti ed organizzatori che mescolano passione e soggettività più che in altre zone.”

Fare teatro i Italia  oggi: quali i segnali per il futuro?
“ I segnali in questo momento sono tragici per chi fa il mio mestiere e lo fa come lo faccio io. Una società che non riconosce l’arte e la cultura come una risorsa è già perduta. C’è poca onestà anche nella difesa reale del nostro settore, i tempi sono duri per tutti e a volte i migliori di noi si chiudono nei fortini e cercano di salvare il salvabile, è umano, ma non è un bel segnale. Non sono molto ottimista. Io non ho lavorato coi finanziamenti e i grandi stabili, ho sempre battuto altre strade, facendo un lavoro sulle idee e con persone simili a me, ritagliando piccoli spazzi di nicchia, ma queste realtà stanno diminuendo e sono le prime a risentire della crisi del sistema. Non penso che la crisi aprirà nuove vie, ma rafforzerà la chiusura.”

giovedì 21 aprile 2011

Giuliana Musso : intervista parte 1

Parliamo con Giuliana Musso, attrice e autrice teatrale, che al Teatro Herberia di Rubiera ha proposto in anteprima uno studio in forma di lettura del suo prossimo spettacolo “La città ha fondamenta sopra un misfatto” tratto da “Medea.Voci” di Christa Wolf.


Com’è nata l’idea di questo progetto?
“I miei tre lavori precedenti “Nati in casa”, “Sex Machine”, “Tanti saluti” formano una sorta di trilogia della vita. Si è concluso un percorso e questo spettacolo ne apre uno nuovo, in cui analizzo le scelte di morte che la nostra società ha fatto. E’ un viaggio alle origini della distruttività umana e qui si innesta uno sguardo di genere: maschile e femminile.  Infatti c’è una differenza sostanziale, spesso sottovalutata, legata al genere che è fondamentale nell’analisi della distruttività umana. Il mito di Medea è la congiunzione che lega l’espulsione della donna dai ruoli guida  e la distruttività di una società guidata esclusivamente dal pensiero maschile.”

Lo spettacolo è una rivisitazione del mito di Medea?
“Il nucleo dello spettacolo nasce da un mio percorso di studio sulla distruttività nella società. Il testo di Christa Wolf riscrive il mito di Medea e include aspetti essenziali, prima fra tutte l’invenzione di Euripide dell’uccisione dei figli da parte della madre. La Wolf va con precisione alle radici storiche e scientifiche del al mito e riabilita la figura di Medea, restituendo una figura di sapiente, guaritrice, proveniente da una società matrifocale e arriva a riflessioni molto diverse da quelle a cui il mito ha abituato”.

martedì 19 aprile 2011

Intervista con Giuliana Musso

Appena conclusa intervista con Giuliana Musso. Mi è piaciuta la sua franchezza ed onestà, la passione per il suo lavoro di ricerca, il suo definirsi "artigiana", il vivere fra le difficoltà di un momento non facile e il bisogno di "delicatezza". Domani in anteprima la lettura scenica del suo prossimo spettacolo. Attendo con emozione.

sabato 16 aprile 2011

Pasticceri, io e mio fratello


"Pasticceri, io e mio fratello" al Teatro a Soliera, uno spettacolo ironico e sorprendente, che inizia con un profumo di crema e latte che bolle che fa ingolosire e una colonna sonora strepitosa che fa venire voglia di ballare sulle sedie. Uno spettacolo anche furbo: una drammaturgia che ri-utilizza in modo creativo brandelli di Rostrand, mescolando quotidiano e poesia. la cosa che più stupisce però, come spesso accade con gli spettacoli di Abbiati, è questa poesia di contrari, silenzi e dialoghi, dissonanze e assonanze, diversi e uguali, proprio come i due fratelli dello spettacolo. Non solo, Abbiati sembra fare teatro per imparare, fare sul serio lavori che avrebbe voluto fare, il pasticcere, lo stanpatore. Altro paradosso: lo spettacolo produce beni reali, i dolci, le torte che saranno poi mangiate dal pubblico dopo lo spettacolo. Un teatro molto personale, poetico, che attinge dal mimo: da provare.

venerdì 15 aprile 2011

Settimana della cultura: aperture gratuite

Ecco alcune delle sedi museali aperte gratuitamente in questi giorni:

Mantova - Archivio di Stato
Mantova - Palazzo Ducale
Mantova - Museo Archeologico Nazionale
Modena (MO) - Galleria, Museo e Medagliere Estenseaperta tutti i giorni dal 9 al 17 aprile con orario: 8.30 – 19.30; sabato 9 aprile apertura continuativa fino alle ore 24.00
Sassuolo (MO) - Palazzo Ducale
apertura: sabato 9 e sabato 16 aprile ore: 15 - 18; domenica 10 e 17 aprile ore: 10 – 13 e 15-18

Langhirano (PR) - Castello di TorrechiaraLunedì chiuso; martedì ore 10.30-19.30; mercoledì, giovedì, sabato ore 8.30-19.30; domenica ore 10.30-19.30 (la biglietteria chiude mezz'ora prima della chiusura)
Parma - Antica Spezieria di San Giovanni Evangelista
apertura da martedì a domenica ore 8.30 – 14.00 (chiusura biglietteria 13.30) – lunedì chiuso
Parma - Camera di San Paolo
apertura da martedì a domenica ore 8.30 – 14.00 (chiusura biglietteria 13.30) – lunedì chiuso
Parma - Galleria Nazionale
apertura da martedì a domenica ore 8.30 –14.00 (chiusura biglietteria 13.30) – lunedì chiuso
Parma - Museo Archeologico Nazionale
Il museo è aperto da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 14.00 con riapertura pomeridiana dalle ore 15.00 alle 18 .00 nelle giornate di giovedì e sabato
Parma - Museo Bodoniano
dalle ore 9.00 alle 13.00 dal lunedì al sabato (su prenotazione)
Parma - Teatro Farnese
apertura ore 8.30 - 14.00 (chiusura biglietteria 13.30) – lunedì chiuso

Settimana della cultura

Segnalo dal sito dei beni culturali:

XIII Settimana della Cultura - 9/17 aprile 2011

L’Italia è un Paese dallo straordinario patrimonio artistico e culturale. Si tratta di un tesoro dall’inestimabile valore che abbiamo avuto il privilegio di ricevere in eredità dai nostri antenati nel corso dei secoli. Questa fortuna risulta ancora maggiore potendone godere gratuitamente per nove giorni, dal 9 al 17 aprile prossimi. E’ quello che succede durante la Settimana della Cultura, giunta alla XIII edizione, che ogni anno apre gratuitamente le porte di musei, aree archeologiche, archivi e biblioteche statali, per una grande festa diffusa su tutto il territorio nazionale.
In tutta Italia, oltre 2.500 appuntamenti tra mostre, convegni, aperture straordinarie, laboratori didattici, visite guidate e concerti renderanno ancora più speciale l’esperienza di tutti i visitatori italiani e stranieri.

Inoltre grazie al progetto “Benvenuti al Museo” che vede la collaborazione con il Centro per i servizi educativi del museo e del territorio del MiBAC circa 750 studenti di istituti tecnici e professionali per il turismo, licei linguistici e istituti alberghieri saranno coinvolti presso alcuni dei principali musei statali italiani per attività di accoglienza al Museo per i visitatori italiani e stranieri, distribuzione di materiali informativi, assistenza alle attività educative.

“L’Italia – dichiara il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giancarlo Galan - è il frutto della millenaria stratificazione delle numerose civiltà che si sono sviluppate sul suo territorio. Ognuna con i suoi caratteri originali, ognuna con le sue peculiarità ha contribuito a plasmarne il paesaggio, a edificarne i centri abitati, a organizzarne gli insediamenti rurali. Tutte hanno avuto un ruolo determinante nel forgiare il nostro essere italiani, arricchendo al contempo il nostro patrimonio artistico con opere e strutture civili e religiose. La settimana della cultura è un’ottima occasione per tutti i cittadini di riappropriarsi di questo patrimonio, visitando musei, siti archeologici e monumenti e riscoprendo, nel centocinquantesimo dell’Unità d’Italia, il senso profondo della propria appartenenza alla comunità nazionale”.

La città ha fondamenta sopra un misfatto

Teatro Herberia
mercoledì 20 aprile 2011, ore 21

LA CITTA' HA FONDAMENTA SOPRA UN MISFATTO



libero adattamento e libere interferenze civili da Medea. Voci. di Christa Wolf
un progetto di Giuliana Musso
con la collaborazione di Nicoletta Oscuro

con Giuliana Musso, Nicoletta Oscuro, Massimo Somaglino, Riccardo Maranzana e con Hugo Samek, percussioni

primo studio

Medea, come ce la propone Christa Wolf nel suo romanzo "Medea. Voci" ci racconta di come la nostra "città" abbia fondamento su un terribile misfatto: la violenta espulsione delle nostre antenate dai ruoli di guida delle comunità e la consegna dei nostri destini nelle mani di una leadership esclusivamente maschile.  La stessa leadership che commissionò ad Euripide la riscrittura del mito di Medea. Le tracce del mito precedenti al lavoro di Euripide non raccontano dell'infanticidio da parte della madre, semmai l'uccisione dei bambini da parte della città. Al grande poeta dunque il compito di ribaltare la storia per assolvere la città e degradare la figura autorevole e sapiente della principessa straniera al rango di primitiva, passionale, sfrenata e sanguinaria. Una straordinaria opera di cosmesi di stato che al paragone fa impallidire per efficacia e qualità poetica le nostre fiction dalla trama edulcorata e compiacente in prima serata tv.
E voi volete davvero ancora sentirvi raccontare la storia di Medea di Euripide? Di quella madre pazza e gelosa che ha ucciso i figli? Volete sentirla declinare in tutti le possibili forme del contemporaneo purché sia la stessa storia? Volete credere che oggi in Italia le donne godono di rispetto e autorevolezza? Che sia un fatto naturale che non vi sia mai stata una donna a capo del governo o della repubblica? Volete credere che "poi però le donne al potere sono peggio degli uomini"? Che una donna ha il dovere di essere bella? Che un uomo mite è una femminuccia? Allora potete anche credere che chi vince la guerra ha ragione. Che mandiamo i nostri ragazzi a morire in guerra perché li amiamo. Che le mani o il membro di un vecchio satrapo come Creonte sul corpo di una ragazzina ancora minorenne la rendano felice. Potete continuare ad adorare l'immagine di un dio maschio e potente che genera un figlio maschio. Se volete potete ancora continuare a pensare che il modello culturale che ha preso in ostaggio le donne e che ci guida verso il baratro sia l'unico possibile.
L'opzione morte in fondo non è che una scelta.

All'origine Dio era femmina e permeava tutto ciò che nella natura vive e muore. Femminili erano i misteriosi poteri della natura che generano ciclicamente la vita, la morte e ancora la vita. Dalla preistoria fino a pochi millenni prima di Cristo, gli esseri umani che ci hanno guidato verso la civiltà erano femmine. Quelle madri, assieme ai loro figli, hanno sviluppato le capacità della proprie menti facendo leva su una razionalità che integra sentimento e pensiero, che percepisce la vita dell'altro (i figli) come parte di sé, e di conseguenza il benessere individuale come non disgiunto dal benessere della comunità. Il modello culturale a dominanza femminile diede impulso a sistemi sociali pacifici e molto progrediti che si organizzavano attorno ad uno unico scopo: la protezione, il sostentamento, la cura del vivente. Le madri hanno regalato al genere umano la civiltà perché esse non potevano non scegliere l'opzione vita!

Purtroppo, tra il 4500 e il 1500 a.C la nostra evoluzione culturale fu interrotta e drasticamente deviata: da allora noi viviamo in un modello di società androcratica, ossia guidata dai maschi, che si costituisce attraverso rigide gerarchie di potere, usa la violenza come principio di giustizia, adora un dio che abita nel supramondo, impone la supremazia della ragione sui sentimenti, dell'anima sul corpo, dell'ideale sul concreto, del maschile sul femminile.

Medea si colloca in quel momento tragico di svolta della storia umana: quando Dio ha cambiato genere, quando le società umane, rette dalle donne e dai loro figli e fratelli, furono travolte e sovvertite dall'irrefrenabile violenza dei padri che imposero un modello culturale fondato sul dominio e assicurato dall'uso brutale della forza. Da quel momento in poi le madri sono state espulse dal governo delle comunità, le menti femminili prese in ostaggio dalla violenza perpetuata sui loro corpi, i figli sacrificati alla nuova ragione di stato. Il modello culturale a dominanza maschile che ci ha plasmati tutti, uomini e donne, e che tuttora abita le nostre menti e ci guida, non è capace di integrare pensiero e sentimento, corpo e anima, vivente e divino. È un pensiero irrazionale, ci sta conducendo all'autodistruzione, è inequivocabile espressione dell'opzione morte!
Giuliana Musso

mercoledì 13 aprile 2011

A Novellara : Nel cuore dell'inverno

NEL CUORE DELL'INVERNO
Testo e Regia: Matteo Carnevali

La Compagnia AltrArteTeatro attiva dal 2008 e affiliata a Fita, dopo lo spettacolo “Pinocchio – La fuga di un Burattino” (Premio Speciale della Giuria al festival del Teatro di S.Lazzaro di Savena Bo. 2010) prosegue il suo percorso di ricerca e sperimentazione di nuovi linguaggi, cercando sempre di più l’autenticità e l’autonomia dei suoi protagonisti.

...La nuova produzione della compagnia, interamente composta da attori diversamente abili, è una personalissima rivisitazione della favola di Biancaneve.

Il punto di vista è quello di una smarrita ed incredula figlia, che subisce la furia omicida di una matrigna crudele che con serialità instancabile insegue l’ingenua protagonista per liberarsi di lei e della sua pallida bellezza. I nani non sono più i pazienti complici della ragazza, ma sono spettatori del dramma della solitudine e dell’incredulità di una ragazza che chiede solo di essere amata come figlia e come essere umano.

Un scatola bianca come la neve contiene gli eterei personaggi di questa rappresentazione, che inizia come il racconto fedele della celebre favola per diventare sempre più una storia autobiografica e vera sul bisogno di ognuno di essere amato.

Due le date: 20 e 21 Aprile al Teatro della Rocca a Novellara.

In arrivo Ascanio Celestini in Scemo di Guerra

Mercoledì 20 APRILE ALLE 21.15
ASCANIO CELESTINI in SCEMO DI GUERRA

Al NUOVO CINEMA TEATRO ITALIA, via Garibaldi 80 - SOLIERA (MO)

Mio padre raccontava una storia di guerra. Una storia di quando lui era ragazzino. L’ho sentita raccontare per trent’anni. È la storia del 4 giugno del 1944, il giorno della Liberazione di Roma. Per tanto tempo questa è stata per me l’unica storia concreta sulla guerra. Era concreta perché conoscevo le strade di cui parlava. Conoscevo il cinema Iris dove aveva lavorato con mio nonno e poi era concreta perché dopo tante volte che la ascoltavo avevo incominciato a immaginarmi pure i particolari più piccoli del suo racconto. Ogni volta che raccontava faceva delle digressioni, allungava o accorciava il discorso inserendo episodi nuovi o eliminando parti che in quel momento considerava poco importanti.Da queste storie nasce Scemo di Guerra. Nello spettacolo si ritrovano alcuni avvenimenti molto conosciuti come il bombardamento di San Lorenzo o il rastrellamento del Quadraro. Alcuni fatti sono veramente accaduti a lui, come quando ha rischiato di farsi ammazzare mentre raccoglieva una cipolla. Alcuni sono altrettanto veri, ma li ho ascoltati da altre persone, come la storia del soldato seppellito vivo. Certe cose me le sono inventate io o le ho prese da altri racconti di altre guerre che mi è capitato di ascoltare.” (A. Celestini)

mercoledì 6 aprile 2011

Ravenna festival

E' già uscito il programma del Ravenna Festival, uno dei festival culturali più importanti dell'Estate Romagnola. che si svolge dal 07 Giugno - 09 Luglio 2011 a RAVENNA. Ricevo e segnalo:

Il tema: Fabula in FestivalI percorsi tematici del Ravenna Festival, giunto alla sua XXIIa edizione, ci condurranno nel mondo della fiaba, intesa come narrazione fantastica, affabulazione, luogo elettivo dove si dispiega la fantasia, la capacità propria da sempre dell’essere umano di immaginare mondi paralleli dove altre siano le leggi e le regole, luoghi segreti ove rifugiarsi e sognare. Questa è la funzione dei linguaggi dell’arte, dove regna quella che Gianni Rodari definiva la grammatica della fantasia, che rivendica all’immaginazione lo spazio che dovrebbe avere nella vita di ciascuno.

Il programma completo al sito http://www.vivaticket.it/pdf/ravennafestival2011.pdf

E' perfino possibile iniziare già a litigarsi i biglietti su http://www.vivaticket.it/

martedì 5 aprile 2011

Anteprima Vinitaly: le nuove tendenze del bere italiano

Abbiamo chiesto a Riccardo Ricci Curbastro, in occasione di una golosa cena che ha riunito cucina e vini lombardi, un anticipo delle tendenze in atto nel settore del vino, una sorta di anteprima di Vinitaly, in partenza il 7 Aprile.

 

Quali sono le tendenze in atto sul vino, come sta cambiando e si sta sviluppando il consumo?
“A livello mondiale in questo momento sta partendo di nuova un’onda di moda verso i vini bianchi.  Veniamo da 15 anni di rosso. Già adesso si vede che i consumi di bianco sta superando i rossi e questa era una cosa attesa anche perché c’è sempre stata questa alternanza fra le due tipologie. Dall’altra parte c’è una fortissima crescita di quelli che sono i vini spumanti. Per l’Italia un successo strepitoso del Prosecco. Nella tipologia della rifermentazione in bottiglia sicuramente il Franciacorta è uno di quelli che sta avendo un trend di crescita molto interessante. Il Prosecco come il Franciacorta sono un po’ l’espressione di un modo di vivere all’italiana, quindi quello che gli stranieri chiamano happy hour e che noi chiameremmo aperitivo con un bicchiere di vino e due cose da mangiare stuzzicando, che poi magari sono due dadi di mortadella. Nel senso che  noi abbiamo la capacità di far coniugare questa forma di aperitivo con qualcosa che è tipicamente nostro, molto italiano. Direi che queste sono le due cose più evidenti in questo momento.”   

Si parla tanto di una richiesta di abbassamento del livello alcolico: è vero?

“Sicuramente la critica negli anni passati ha privilegiato vini molto alcolici e strutturati che erano quelli che in degustazione cieca facevano più scena e che comunque riempivano la bocca, con il risultato però che questi sono vini che difficilmente vuotano la bottiglia. Nel senso che non è il vino all’italiana che pasteggi, è un vino che ne bevi un po’, dici che è buono, ma poi resta lì. Oggi si sta tornando verso un vino che abbia la capacità di farsi bere, che quindi sia di facile beva. L’alcol purtroppo è diventato l’elemento che tutti guardiamo per altri motivi: la pura per la patente. Ma in realtà più che l’alcol è una questione di struttura: si torna verso vini più normali, più da tutto pasto. L’alcol può essere uno degli indicatori, ma il più della gente lo confonde con la struttura. Oggi si beve vino meno alcolico perché pensa di avere meno problemi con la patente. In realtà io dico fra 12,5 e 13,5 quando hai bevuto un bicchiere sei allo stesso livello di alcol in corpo, l’1% non fa la differenza.” 

Compleanno di terra a Modena

COMPLEANNO DI TERRA

Lettere segrete
di Paola Berselli, Stefano Pasquini
Paola e io viviamo alle Ariette dal 1989.
Le Ariette sono un podere di 3 ettari e mezzo sulle colline di Castello di Serravalle in provincia di Bologna.
Dico spesso che è da quel momento, dal 1989, che è cominciata la nostra seconda vita. In questa seconda vita le cose hanno cominciato piano piano ad apparire differenti.
Per esempio, noi stavamo insieme già da molto tempo e il giorno del compleanno non sapevamo più cosa regalarci, oramai non aveva più senso regalarci delle cose e così, un po’ per gioco, abbiamo cominciato a regalarci delle lettere …

5 fari, 2 ghirlande luminose, cassette da frutta e da ortaggi, 1 frigorifero, il Lambrusco, la torta e le candeline, la segatura per terra, le nostre oche. Un po’ casa, un po’ circo.
Uno spettacolo fatto di niente, delle parole scritte nelle lettere segrete dei nostri compleanni di terra. Un teatro povero, illuminato dalla ricchezza delle esperienze di vita di 21 anni vissuti alle Ariette.

Le Ariette

Il 15 ed 16 Aprile le Ariette tornano al Teatro delle Passioni a Modena, un'ottima occasione per andarli a vedere, poetici fanno un teatro che parla con semplicità al cuore.

lunedì 4 aprile 2011

Intervista: Eros Pagni parte 2

Come vede il futuro del teatro?    
Spero che questo intervento del governo riporti un po’ di ossigeno, ma il teatro è una goccia d’acqua in un secchio, far del male al teatro è come far male ad una mosca, ad annientarlo ci vuol poco. Dico questo perché oggi, in una compagnia d’assicurazione in cui erano descritte tutte le varie attività dell’uomo, ce n’era una sfilza, ma la nostra non c’era. Mi hanno chiesto che cosa faccio. “L’attore di prosa” ho risposto. Hanno detto che questo lavoro non è contemplato, al che mi sono ritrovato improvvisamente accanto a Vladimiro. Mi sono chiesto chi sono.

C’è invece un ricordo del passato di cui le va di raccontare?
In 52 anni ci sono tanti ricordi, belli e brutti, io sono pessimista di natura, ma voglio essere più blando e ricordare la prima volta che sono stato chiamato per affrontare un protagonista, che è stato il Moliere Bulgakov per la regia di Luigi Squarzina. Quello fu un momento di particolare significato della mia vita d’attore.


domenica 3 aprile 2011

Intervista: Eros Pagni parte 1

Incontro Eros Pagni prima dello spettacolo “Aspettando Godot” al Teatro Asioli di Correggio. Nello spettacolo, per la regia di Marco Sciaccaluga, interpreta Vladimiro, un barbone umano e paterno, l’unico personaggio che sembra avere memoria di ciò che accade.

Portate in scena “Aspettando Godot” di Beckett, un testo che è diventato  un classico della contemporaneità, tante le letture e le interpretazioni, qual è la Sua?
“Io sono un attore sempre piuttosto fedele al testo. Nel copione ci sono delle indicazioni che possono dare uno spunto di come si può interpretare il ruolo. Per quanto riguarda Vladimiro, il mio personaggio, credo che sia prima di tutto un sognatore, non certo un uomo con i piedi per terra, è un uomo che si illude, che spera e che ha fede malgrado la vita gli abbia riservato momenti di grande tristezza e angoscia. A questo mi sono attenuto.  L’interpretazione o la proposta interpretativa che si fa al pubblico è una recitazione meditata, supportata da un pensiero e da un peso interiore, pensata e sofferta.”

Qual è stata la difficoltà maggiore in questo testo? 
La difficoltà maggiore è credere a ciò che si dice, si parla di teatro dell’assurdo, io non contesto questa definizione che la critica moderna dà del testo, ma la discuto: si trattano grossi problemi che attraversano l’uomo, in tante situazioni noi ci chiediamo tutt’oggi chi siamo, cosa facciamo, che cosa avremo, cosa ci riserverà il futuro visto il contesto sociale che stiamo vivendo momentaneamente. Vladimiro si rende conto di questo momento particolarmente critico della sua vita ma non rinuncia a sperare, come nella bellissima battuta “Se arriverà Godot saremo salvati”. Purtroppo  questo Godot non arriva mai. Questo fantomatico personaggio è evidentemente qualcosa di superiore a noi, si può pensare a tutto, si può immaginare che sia come il Messia per gli ebrei, ad esempio, qualcuno che può dare una risposta o un aiuto a una vita che per il momento non ha nessuna spiegazione, nessun peso sociale, esistenziale, morale per personaggi che vivono ai margini della società in cerca di un qualcosa che si dice verrà domani, ma che non verrà

sabato 2 aprile 2011

Invisibile : recensione


In scena a Correggio Domenica 27 Marzo “Invisibile”, uno spettacolo che, con pochissime parole, riesce a raccontare molto, con delicatezza, ironia, poesia. Sul palco del Teatro Asioli cinque giovani attori-performer: Piergiorgio Milano, Fabio Nicolini, Roberto Sblattero, Fratesco Sgrò e la reggiana Elena Burani che formano il collettivo 320Chili, dalla somma dei rispettivi pesi. Si sono incontrati alla Scuola di Circo Flic di Torino, esperienza che hanno poi contaminato con la danza e la recitazione. Raccontano con un linguaggio che è tutto corpo,  danza, gesto, nuovo circo, teatro e che attinge anche al cinema muto. Lo spettacolo mescola temi ed elementi, parla di disagio e follia, e contemporaneamente anche della difficoltà della cosiddetta normalità, in cui ciascuno difende un suo piccolo mondo e diventa sempre più difficile aprirsi all’altro; la difficoltà nel passare dalla solitudine all’incontro, l’interazione sempre più con le cose e con gli oggetti, il problema della percezione di sé, dello specchiarsi nell’altro, un’interazione che è gioco, corpo, movimento, acrobazia, danza. La parola non c’è, l’interazione è quasi tutta fisica, con costruzioni che sembrano casuali, giocose ed infantili e che poi, sempre per caso, sembrano diventare danza, in un disordine che diventa, per un attimo ordine. Emoziona, nelle pause della musica, il rumore del respiro e dei corpi. Tanti i temi: inclusione, esclusione, possesso, normalità e follia che ruotano intorno alla difficoltà di farsi accettare in un abbraccio.

Intervista: Ugo Pagliai parte 2

Seguito dell'intervista rilasciata da Ugo Pagliai al Teatro Asioli a Correggio priam dello spettacolo "Aspettando Godot".

Una lettura positiva quindi?
“Quelli che vengono rappresentati sono dei disperati, la condizione umana è terribile, però c’è questa positività nell’aspettare Godot. Anche se c’è sempre il desiderio del suicidio, dell’impiccagione, della morte, però mai come in quei momenti c’è il bisogno della vita, il bisogno di inventarsela.”

Come lo vede il futuro del teatro?
“Finchè ce lo fanno fare! Finchè avrò energia e potrò farlo, calcherò il palcoscenico perché, anche coi limiti che uno può avere, in mezzo a tante cose fittizie, false, credo che il teatro sia l’unico luogo in cui le persone stanno in silenzio ad ascoltare altre persone che dicono cose scritte da dei geni, parole che possono ancora dissetare, dare verità e qualcosa di autentico.”

Le chiedo se ha un ricordo da condividere che riguarda il palcoscenico.

“I ricordi sono tanti, io qui a Correggio ho fatto un debutto con Squarzina: “Domino” di Achard. Lo spettacolo era andata molto bene e l’aiuto regista, Gianni Fenzi, alla fine della cena, in un ristorante che era proprio  qui davanti,  arrivò con una torta bellissima per festeggiare. Si avvicinò  a Squarzina che era nel mezzo della tavolata, scivolò e scaraventò la torta sulla tavola schizzando panna e dolce da  tutte le parti. Mi ricordavo questo teatro: bellissimo!”    
  

venerdì 1 aprile 2011

Intervista: Ugo Pagliai parte 1

Incontriamo Ugo Pagliai prima dello spettacolo “Aspettando Godot” al Teatro Asioli di Correggio. Lo spettacolo, per la regia di Marco Sciaccaluga, lo vede per la prima volta collaborare con un altro grande attore del teatro italiano, Eros Pagni. Il regista ha voluto infatti due Re Lear ad interpretare i due barboni, Vladimiro ed Estragone, protagonisti del testo di Samuel Beckett.

Portate in scena “Aspettando Godot” di Beckett, un testo che è diventato  un classico della contemporaneità, tante le letture e le interpretazioni, qual è la Sua?
“Fortunatamente abbiamo avuto un regista Marco Sciaccaluga che ha fatto uno spettacolo “diverso” da tutti gli altri. In passato il testo è stato appannaggio di gruppi di giovani che con il loro coraggio e talento hanno fatto un discorso sempre sul pessimismo della vita: hanno visitato per lungo e largo il cliché beckettiano, con una resa molto stentorea e pause lunghissime. Invece il nostro è quasi un inno alla vita. C’è l’attesa, ci sono questi due disgraziati, che si compensano a vicenda, ci sono  interrogativi e dialoghi, a volte anche astratti ma a volte con squarci, visioni importanti che ci fanno pensare alla nostra epoca.  E’ sempre il testo integrale che rispetta le cadenze e i dialoghi di Beckett.  Ognuno poi è entusiasta del lavoro che sta facendo e noi lo siamo, fra l’altro abbiamo dei riscontri notevoli.”

Qual è stata la difficoltà maggiore?
“Inizialmente è difficile memorizzare questo tipo di testo perché c’è ripetitività, non ci sono legami, ma la cosa importante è seguire un pensiero e ricollegarlo a quello che viene dopo.
Il rapporto fra i due protagonisti è meraviglioso: uno non può fare a meno dell’altro. Il mio personaggio Estragone chiede sempre da mangiare e l’altro gli dà una carota, una rapa, lui non sa nulla, è visionario, è quello che soffre di più, è malato e quindi l’altro gli fa da padre e da madre, come anche lui all’altro. Sono due persone che litigano o si dicono cose crudeli, però non possono fare a meno di vivere l’uno senza l’altro. Sul palco non avviene nulla: ci sono questi due che aspettano Godot che può essere la vita, la morte, Dio, tante cose. L’importante però è aspettare e quindi vivere, inventarsi la vita: c’è questa volontà dell’attesa che è bellissima.”