giovedì 28 aprile 2011

La città ha fondamenta sopra un misfatto: recensione

La Medea raccontata da Giuliana Musso, liberata dall’invenzione di Aristofane,  è  una tragedia ancora più disperata, se possibile, in cui la violenza di leggi dettate dalla volontà di dominio e dell’uso della forza riescono a vincere sull’idea di bene comune. Medea è fiera, sapiente, curatrice, legata alla vita, indipendente, che chiede il perché di ciò che non capisce, una donna modernissima che vive a pieno e che si scontra con la mentalità per lei nuova del dominio e del potere ad ogni costo. La lettura scenica proposta al Teatro Herberia a Rubiera emoziona e coinvolge, con il ritmo serrato dei dialoghi, sottolineato dalle percussioni e dai canti ancestrali di Hugo Samek. Un racconto corale, come nel testo “Medea. Voci” di Christa Wolf a cui si ispira il lavoro, che vede sul palco insieme a Giuliana Musso anche Nicoletta Oscuro, Massimo Somaglino, Riccardo Maranzana, tutti già convincenti nell’intrecciarsi dei ruoli. Sono voci che raccontano la realtà da punti di vista e sfaccettature diverse. La Musso spiega che il lavoro è nato dalla ricerca sulle origini della distruttività umana, ed è una sorta di ritorno alle origini: la nascita della distruttività è legata al brusco passaggio dalle comunità matriarcali - legate al bene comune, al sentimento, alla protezione, alla cura della vita - al dominio dei padri, imposto con la forza, la violenza e la sopraffazione, e dal conseguente allontanamento del femminile dai ruoli guida. Medea è da un lato la vittima del cambiamento, dall’altro è però l’emblema che un altro mondo è possibile, uno stimolo a ripensare non solo il ruolo, ma i modi del femminile nelle società di oggi, alla ricerca di una nuova opzione verso la vita. Il Teatro Herberia di Rubiera chiude la stagione con un work in progess ricco di stimoli che già crea attesa per la programmazione estiva della Corte Ospitale.

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