venerdì 26 novembre 2010

A corpo morto : recensione

Vittorio Franceschi sul palco foto Tiziano Ghidorsi
Intimo, vibrante come una poesia lieve, “A corpo morto” è una drammaturgia contemporanea che stupisce con la sua complessità non pensante ed una lingua che unisce citazioni colte, poesia e linguaggio quotidiano, che parla di sentimenti con pulizia. Una drammaturgia con uno spessore diverso da quello che si vede in giro abitualmente ma che riesce a rimane leggera. E' come quando nevica, tante riflessioni ma che rimagono leggere, come in sospensione.
In una scenografia metafisica, una luce giallastra in una sorta di magazzino di identità, Vittorio Franceschi, indossando le belle maschere di Werner Strub, assume identità e sentimenti altrui, e dà vita a cinque personaggi e ad altrettanti monologhi che emozionano e fanno i conti con i grandi temi dell’uomo: vita, morte, amore, religione, aldilà, ideali,  trattati con semplicità e immediatezza.
I personaggi sono persone comuni, ciascuno ha una sua storia e poesia, ma tutti si rivolgono al defunto come se fosse ancora in vita. Sono dei sopravvissuti che raccontano se stessi e il loro rapporto con chi non c’è più. Il primo è un giovane impacciato che trova il coraggio di dichiarare il suo amore ad un’amica morta in un incidente. Segue una moglie che piange il marito sarto, che ricorda “i 32 anni soffiati via come la polvere”, i dettagli di una vita insieme. Un’intimità affettuosa e profonda e la ricerca di un senso per andare avanti. Segue un padre con il figlio idealista e suicida. Il padre è venuto a patti con il mondo, attirando il disprezzo del figlio e finge distacco, ma una parte di lui comprende. "Siamo naturalmente portati al male e quando l'hai capito non ce l'hai più fatta.  Anime nobili. Anime inutili e un po' storte, che mandate al macero voi stesse e quelle dei pochi che vi capiscono”. Poi una figlia, alla ricerca di vendetta e miglioramento, parla alla madre uccisa dal padre. Infine si assiste ad uno splendido monologo, allegorico e beffardo, di un barbone al compagno di strada, Barabba: in una sorta di metafora dell'artista. La recitazione di Franceschi emoziona ed è sempre elegante, intima e mai sopra le righe; caratterizza con credibilità i personaggi, senza mai smettere di recitare, neanche nel cambio maschera. Stupisce vedere come, indossando la maschera, cambia la recitazione ed il gesto si fa più marcato e preciso. Da vedere.

(spettacolo  visto il 23 Novembre)
Altre info http://www.vittoriofranceschi.com/

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