giovedì 25 novembre 2010

A teatro spopolano i monologhi: tendenza o mercato? parte 2

Ho deciso di partire dall'articolo sotto riportato perchè se Venezia ed il Veneto piangono i tagli al teatro e denunciano tagli alla qualità dell'offerta, in provincia siamo circondati da cartelloni e programmazioni in cui i monologhi la fanno da padroni e in cui spesso il teatro viene sostituito dal cabaret- monologhi di comici televisivi, Zelig soprattutto. 

La città fa notizia ma spesso i piccoli teatri di provincia, con meno fondi, sono stati i primi ad avere addottato queste "strategie" per poter continuare ad avere una stagione anche a finanziamenti ridotti: da un lato spettacoli con pochissimi attori ed essenziali, dai bassi i costi; dall'altro l'incremento di spettacoli di sicuro richiamo sul pubblico, ecco il successo dei comici e degli attori televisivi nei teatri: garantiscono il tutto esaurito, fondi che poi magari servono a finanziare il resto. Il fatto è che ora le strategie si stanno allargando a macchia d'olio, ai grandi teatri, pensado su tutta la amchhina produttiva dello spettacolo, dalla drammaturgia, a chi produce spettacoli, alle compagnie. 

Se il Veneto si lamenta, non credo che motivazioni economiche fossero totalmente estranee alla scelta del Teatro di Genova di produrre "A Corpo morto" scritto per 5 attori, ma di adattarlo ad un attore unico. Così come sorge spontaneo il dubbio, di fronte alle scelte di certe letture contempornee del teatro classico, sulle motivazioni che affidano ad un attore solo più ruoli principali (come "Edipo Re" per la regia di Antonio Calenda) o che focalizzano su poche figure. 
Mi risuonano alla memoria le parole di Umberto Orsini, dal palco, che denunciava il rischio dell'abbassamento della qualità dell'offerta, la ricerca di un prodotto più commerciale e meno aggressivo e sperimentale. Si rischia insomma un teatro che dice meno cose, che fatica ad entrare nella storia del teatro e che  forma professionisti e pubblico abituati ad un minor spessore. Anche Vittorio Franceschi lamenta la scomparsa del teatro di prosa.   
Ho ancora negli occhi la sorpresa nel vedere sul palco 25 attori nella rappresentazione de "I Demoni" per la regia di Peter Stein; stupore che segnala chiaramente una non abitudine.

Ma il teatro ha sempre dovuto fare i conti con i vincoli legati alla storia e alla società, sia quando la società lo magnificava, sia quando lo relegava agli ambienti più infimi. c'è da ricordare che il teatro è arte viva, capace di cambiare, re-inventarsi, adattarsi nei linguaggi e nelle forme. Ricordo che in Italia fra gli anni '80 e '90 inizia il successo il teatro di narrazione, basato su un attore-narratore che racconta creando un rapporto caldo con il pubblico. Ed è proprio grazie al teatro di narrazione che improvvisamente il teatro torna attuale, si riaccende il dibattito, il pubblico torna a teatro ed il teatro fa ascolti in televisione (Nel 1997 Marco Paolini porta il Racconto del Vajont in diretta su rai 2 e vince l'Oscar della televisone).

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