lunedì 7 febbraio 2011

Intervista a Marco Paolini - 1 di 4

Incontriamo Marco Paolini al Teatro Asioli a Correggio, prima dello spettacolo “Itis Galileo”.

Come ha cominciato a raccontare?
“Mi sono messo a raccontare per necessità, perché avevamo interrotto le prove di uno spettacolo, mi ero fatto male e narrare per me è stato semplicemente un modo per aggirare il problema dell’interpretazione. L’interpretazione è più pesante, a volte anche imbarazzante e in ogni caso hai bisogno di una distanza; mentre raccontare mi viene meglio perché per certi versi è una sorta di straniamento, ci sono i personaggi ma c’è anche il coro. E’ una tecnica leggera che permette a me di entrare in argomenti anche pesanti senza aver trovato un punto di vista o senza avere quello del personaggio. Poi, siccome io faccio l’autore, questa sistema mi si confà di più di una scrittura tradizionale che prevede le parti, lo faccio perché mi piace fare l’autore, lavorare sulle cose. Nel momento in cui la cultura visiva diventa così importante, ognuno di noi fa overdose di immagini, chi invece fonda il suo lavoro sulla parola apparentemente è anacronistico, poi però ti rendi conto che la parola ha un suo significato, in questo caso io parlo per me, è musicale, quindi non è tanto il senso narrativo cronachistico della cosa, quanto il suo farsi musica attraverso l’uso del microfono, del teatro come spazio, della solitudine intorno, senza altri attori con cui dialogare, però cercando  di costruire questo dialogo con il pubblico, quindi non è un monologo ma è una cosa che si fa  con chi hai davanti.”

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