giovedì 10 febbraio 2011

Intervista Marco Paolini - 4 di 4

Quindi si inventeranno altri modi? 
“Quando ero ragazzo e ho iniziato a far teatro, ho imparato che il teatro è un territorio e non un edificio. I primi posti in cui l’ho fatto erano strade, piazze, scuole e luoghi non teatrali. Per me è una lezione importante, io non ho fatto la carriera di attore facendo i provini per entrare in una compagnia e venire ad occupare un posto in un teatro. Non sono mai stato un attore disoccupato (…). Ci sono molti attori in giro, si fa meno cinema e televisione, tanti pretendono di spendere la loro popolarità a teatro e sgomitano per entrare in questi pochi posti, in queste poche date, in questi pochi soldi. Allora la mia prima reazione è di dire: io mi tolgo, non ho bisogno di sgomitare per entrare in posti dove si fa così e quindi devo iniziare a ragionare, io ed altri, su creare luoghi, modi, opportunità di incontrare la gente che non siano quelli consacrati.”

In alcuni degli ultimi spettacoli c’è un tentativo di dialogo  e coinvolgimento dello spettatore

“Essere didattico per chi lo fa e in qualche maniera per chi ne viene a far parte è una funzione del teatro a cui non voglio sottrarmi. So che è pedante però, in un paese come il mio, potrebbe essere un lusso ritrovarsi in un luogo in cui si può parlare e non solo usare il telecomando. Questo è il senso: a teatro non negare la parola. E’ un atto di fiducia, la possibilità di imparare qualcosa e a volte è molto bello.”
              

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