sabato 12 marzo 2011

18.000 giorni - Il pitone: a teatro il dramma del lavoro


foto A, Astigiano
Applausi ed emozione al Teatro Asioli per lo spettacolo  “18.000 giorni - Il pitone” il 7 Marzo.
In scena la storia di un uomo comune che dopo 25 anni di lavoro all’età di 50 anni diventa “esubero” e perde il lavoro. Attraverso questa storia si racconta com’è cambiata in  18.000 giorni, ovvero 50 anni, la realtà del lavoro in Italia.
Giuseppe Battiston dimostra tutta la sua bravura e sensibilità nel portare in scena la sofferenza e la fragilità di un uomo che in un giorno solo ha perso lavoro, moglie e figlio.
Sul palco tre lampade, un grande mucchio di abiti e piccole pile, mucchietti, di abiti  piegati: le uniche cose lasciate dalla moglie Tea in un trasloco lampo.
Battiston comincia a raccontare la storia, cerca nel mucchio, cerca la moglie Tea e il figlio che lo hanno lasciato solo, parla con i mucchietti di cose, emergono in tanta solitudine i ricordi, le persone. Un raccontarsi che parla di umiliazione, di falsità di un sistema economico che sfrutta e lusinga per poi lasciarti a terra  quando non  ha più bisogno di te. 
Proprio i mucchietti, gli abiti,  sono il filo della memoria, i brandelli di vita che gli fanno compagnia da quando si è isolato in casa. Gli abiti diventano ricordi, il simbolo  delle figure ma anche di un’umanità che manca: la personificazione poetica dell’abito da sposa della moglie, la giacca del  neoassunto che lo fissava, mentre il giovane “pitone”, imparava, cresceva e “gli prendeva le misure” per rubagli il posto a tradimento. Ecco che il completo scuro è l’abito del doppio funerale: quello del padre, ma anche del suo licenziamento. La sua è a tutti gli effetti una morte civile, che si segue passo a passo: i colleghi che lo trattano come un moribondo, poi fanno finta di non vederlo, l’umiliazione, la messa in crisi della propria identità, il rinchiudersi in un mondo irreale e di ricordi (mentre il mondo vero lo cerca solo per chiamarlo ad un ruolo di consumatore). Una realtà che è più feroce della guerra combattuta dal padre: là i morti si coprono, ed un modo per  accorgersi che non ci sono più e che non sono morti per niente, mentre lui è come un morto senza sepoltura, è come buttato via.
Funziona molto bene quello che rischiava di essere un azzardo: un attore ed un cantautore insieme sul palco. Canzoni e musica creano atmosfere rarefatte, che partono dall’emozione del recitato dilatandole e portandola ad una dimensione poetica con ballate scritte appositamente per lo spettacolo che integrano e fanno parte del testo a tutti gli effetti.
Gianmaria Testa, all’inizio sullo sfondo, quasi una visione, piano piano si avvicina, un po’alter ego, un po’ angelo custode, per poi dare inizio ad  una interazione poetica e delicata.
La regia di Alfonso Santagata sottolinea gli aspetti visionari, inventivi e poetici. Toccante il momento del sogno, mentre dorme avvinghiato all’abito da sposa della moglie.

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